Pirandello e il Fascismo
Pirandello chiese l’iscrizione al Partito Fascista il 17 settembre 1924. Il gesto nasce, in Pirandello come in altri intellettuali, da quelle diffuse “illusioni che consentirono un’apertura di credito nei confronti di Mussolini sancita dalla presenza liberale in seno al Governo fin oltre il delitto Matteotti” (Elio Providenti).
L’adesione, che Pirandello volle pubblica e solenne (la dette alla stampa pochi giorni dopo l’uccisione di un deputato fascista, Armando Casalini) fu certo per sostenere, con il proprio prestigio, un Mussolini in difficoltà, che aveva avuto l’astuzia di gratificare lo scrittore “convocandolo” più volte nel suo studio e sfruttarne la fama mondiale lusingandone le speranze di aiuto per i suoi progetti d’Arte. Il clamore che ne nacque non derivò tanto dall’iscrizione di Pirandello, quanto per aver definito l’opposizione una inutile comparsa: anzi un fantasma, creato da Mussolini.
I giornali umoristici non persero l’occasione di sfoderare colpi bassi (e non tutti azzeccati). “Il becco giallo” decise di chiamarlo sempre P. Randello; e in un disegno del 21 settembre 1924 presenta Pirandello in un corteo di questuanti che sfila sotto le finestre del Senato a cui si affaccia Mussolini assieme a vari personaggi dell’epoca; fra gli altri si riconoscono Puccini, Leoncavallo e l’allora direttore de “Il Travaso delle idee” (Pirandello era stato accusato, senza fondamento, di voler barattare la tessera con il laticlavio).
All’ingresso spettacolare di Pirandello nel Fascismo seguì una scarsa partecipazione effettiva alle vicende del partito: il rapporto con il regime e i suoi uomini si guastò assai presto.
Continuerà tuttavia a lungo nell’illusione che Mussolini avrebbe realizzato il suo progetto di Teatro di Stato. Ma il Duce non nascondeva le sue preferenze teatrali per Giovacchino Forzano: come fa notare “Il becco giallo” pubblicando una vignetta di Crespi che ritrae Mussolini cui va crescendo la barba dalla noia durante la serata inaugurale del Teatro d’Arte.